Cari amici della rosolatura, oggi un bel piatto di riciclo che non guasta mai! Con questo freddo, certamente qualcuno di voi si è cimentato nella preparazione di un corroborante brodo di carne, magari servito con dei tortellini.. E come biasimarvi! Questo è un classicone invernale da tempo immemorabile, dunque pollici alzati per la scelta. Ora però, che fare di quel meraviglioso lesso avanzato? Se non siete amanti della senape o della carne bollita, se i vostri bambini vi hanno chiaramente fatto intendere che quella carne lì non la mangeranno mai visto che è brutta, scura e magari con un po' di nervetti, io ho la soluzione a portata di mano. Care mamme, riciclate il lesso facendolo diventare polpette! Nessun bimbo che si rispetti è infatti in grado di resistere al gusto e alla sferica forma delle palline di carne, neanche il più capriccioso. E fatele al sugo, così poi ci potete condire il riso o la pasta :-) Vi avverto però, non sono per niente una roba leggera, anzi...!
Per i puri di cuore, il mio ultimo racconto in calce al post (come dice il mio fidanzato, finalmente un po' d'azione in queste tue storie...!)
Ingredienti per 4 persone:
500g di carne lessa
2 uova
3 cucchiai di parmigiano
3 scatole di polpa di pomodoro
due carote
una costa di sedano
uno scalogno
4 fette di pancarrè
latte
farina
noce moscata
pangrattato
sale pepe e olio
Tritate la carota il sedano e lo scalogno. Fate soffriggere con un goccio d'olio in una pentola. Aggiungete la polpa di pomodoro, allungate con dell'acqua e fate cuocere a fuoco dolce per una mezz'ora almeno. Nel frattempo, tritate finemente la carne e mettetela in una ciotola.
Versate in un altro recipiente il latte e lasciate a mollo il pane. Aggiungete un uovo, il sale, la noce moscata, il pepe, il parmigiano e il pane ben strizzato. Mischiate e amalgamate bene il tutto, fno ad ottenere un composto omogeneo e sodo (fosse troppo molle, aggiungete ancora un po' di pangrattato).
Formate tante palline con le mani. Infarinatele, poi passatele nell'uovo sbattuto e infine nel pangrattato. Friggete le polpette fino a che non si saranno dorate. Una volta cotte, toglietele dalla padella e asciugatele bene dall'olio in eccesso.
Gettatele nella pentola con il sugo bollente e lasciate cuocere una ventina di minuti, facendo attenzione che non si attacchi. SOno buonissime anche fredde! Io le ho mangiate col riso, ma l'accostamento che preferisco è con gli spinaci ripassati con il latte e il parmigiano :-)
Quella mattina Alessio Ferretti si era svegliato con un leggero fastidio al collo, un petulante doloretto tra la quarta e la quinta vertebra cervicale che lo aveva decisamente irritato. Come se un grumo di resina gli si fosse attaccato a qualche ganglo nervoso e non si dedicesse a colare giù. Quel piccolo inconveniente lo aveva accompagnato per tutta la sua altrimenti perfetta giornata: mentre firmava la polizza di assicurazione per la nuova macchina, durante la riunione di consolidamento del bilancio, quando era riuscito a convincere il Dott. Spadoni della redditività del suo progetto finanziario e anche mentre era in sala conferenze con Dora, la segretaria dello studio, che gli aveva dato una dimostrazione tecnica dell'aderenza e sensibilità di due labbra scarlatte, adeguatamente siliconate. Un magistrale pompino, insomma. Quel nodo calloso dietro al collo non si era allentato mai, neppure quando aveva saputo del successo ottenuto nella semifinale di Champions dalla sua squadra del cuore, il Toro, da trentanni ormai digiuna di titoli internazionali. Stava proprio pensando di telefonare al dottor Festa quando dovette improvvisamente spingere a fondo il pedale del freno. Una colonna di auto ferme in coda, con i fanali posteriori tutti accesi a formare una scia luminosa d'emergenza, si stagliava a perdita d'occhio tra lo svincolo di Picco Niguarda e l'imbocco dell'A37. L'occhio aveva registrato appena in tempo l'immagine e il cervello aveva agito di conseguenza. Il respiro lievemente accelerato, i battiti in crescendo del suo cuore, la sensazione di leggera euforia che pervadeva i più nascosti tessuti del suo corpo erano dovuti ad una piccola fuoriuscita di adrenalina, secreta a livello sinaptico dal suo reattivo encefalo. La prima cosa che Alessio fece, una volta constatata la situazione, fu spingere forsennatamente il pugno sul clacson. Beeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee. Beeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeep. Beeeeeeeeep.Beeeeeeeeeeeeeeeep. Non servì altro. Come in un coro che si rispetti, all'unisono gli altri conducenti iniziarono a pigiare tutta la loro frustrazione per quell'attesa inaspettata, in un crescendo di trombe ruggenti che contagiava di minuto in minuto altri guidatori, propagando l'onda sonora per tutta la fila. Forse fu questa la causa. Il fiume di clacson rimbombò e vibrò una volta di troppo. Dalle montagne che abbracciavano la strada prima di lasciare il posto alla mite pianura, due masse di neve e ghiaccio precipitarono all'improvviso sul serpente di macchine. Per un momento tutto si fece grida e caos.Quando finalmente Alessio riuscì a sbloccare la portiera della sua auto, lo spettacolo di lamiere, urla e sangue non lo turbò. L'empatia per la sventura subita dai suoi vicini di macchina cedette in fretta il passo alla consapevolezza di essere intrappolato nell'abbraccio gelido della slavina. Accanto a lui, vide un altro sopravvissuto imprecare disperatamente contro il suo cellulare, diventato nel momento del bisogno niente più di quello che era, un pezzo di plastica e circuiti privo di alcun segnale. Terrorizzato dall'idea di non poter più comunicare attraverso gli invisibili collegamenti dell'etere, Alessio fece appena in tempo a schivare il pugno dell'uomo col telefono. Prima che la parte razionale del suo io potesse chiedersi cosa diavolo stesse succedendo, Alessio stava lottando con tutte le forze contro l'inspiegabile furia dell'altro uomo, che lo braccava al suolo con tutta la sua stazza mentre le mani cercavano di chiudersi sul collo. Negli occhi dell'uomo, non vi era più alcuna traccia di umanità: come una bestia ubbidiente alla legge del più forte, cercava di conquistare il suo angolo di paradiso digrignando i denti e soffiando fuori la sua sete di supremazia. Fu solo un caso se Alessio riuscì a sottrarsi a quella stretta letale. Quando il fiato iniziò a mancare, quando lentamente il torpore cominciò ad impadronirsi delle sue membra, l'istinto di sopravvivenza ebbe la meglio. Grazie anche ad un pizzico di fortuna, le sue mani incontrarono un oggetto freddo, metallico. Aprì con quello la testa dell'uomo. Lo fece con la stessa consapevolezza con cui si apre una scatoletta di tonno, senza starci troppo a pensare. Sentì il sangue caldo colargli sul viso. Sul collo e sui vestiti, poi giù, a sporcare di rosso la neve, fino a coagulare in una chiazza cremisi che continuava ad allargarsi. Alzò lo sguardo e quello che vide gli procurò un brivido intenso, come se in fondo in fondo non si aspettasse null'altro di diverso, come se l'avesse sempre saputo che gli esseri umani erano solo bestie parlanti. Chi non era morto schiacciato dalla valanga, lottava contro gli altri sopravvissuti, in una guerra senza quartiere per il possesso di cibo, coperte, donne e qualunque altra cosa potesse tornare utile nella precaria condizione in cui si trovavano. Quelli che fino ad un paio d'ore prima erano stati fraterni compagni di viaggio, si ammazzavano per una sorsata di alcol, convinti che tra la morte e la vita non vi fosse altro che quella dannata bottiglia. Nel trambusto degli eventi, vide una donna difendere la scatola di cracker che aveva nell'auto dalla furia di un tizio armato di cric. Non ce la fece. E quando l'uomo le diede il colpo fatale cadde riversa a terra, stringendo ancora la plastica, ormai vuota, di quei cracker salati. Alessio si alzò da terra e si spazzolò la neve dai vestiti. Intinse due dita nel sangue e tracciò sul suo volto strisce di guerra, come quando giocando da ragazzino fingeva di essere un indiano a caccia di cow boy. Il doloretto al collo era sparito. Si lanciò nella mischia brandendo la sua spranga d'acciaio.
Nessun commento:
Posta un commento